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mercoledì 4 maggio 2011

Maylis de Kerangal parla del romanzo "Corniche Kennedy" dove il luogo s'impone come un personaggio. L'intervista di Fattitaliani

L'ultimo romanzo della scrittrice francese Maylis de Kerangal "Corniche Kennedy" (edito da Verticales nel 2008 e da quindici giorni da Gallimard), unanimemente apprezzato dalla stampa e dal grande pubblico, è stato tra i finalisti di diversi premi (Mèdicis, Femina, Wepler, France Culture/Tèlèrama) e ha ricevuto il Prix Murat, un roman français pour l'Italie assegnato dal Grec (Groupe de Recherche sur l'Extrême Contemporain).

Maylis de Kerangal è membro del comitato di redazione della rivista "Inculte". Editrice per l'infanzia, ha lavorato a lungo per Gallimard Jeunesse e in seguito ha fondato la casa editrice "Le Baron Perché", prima di raggiungere le edizioni Hèlium, dove co-dirige una collana di romanzi per adolescenti. L'abbiamo intervistata.
All'inizio del romanzo ha avuto l'esigenza di "inquadrare" nel dettaglio il luogo dell'incontro, cioè la scogliera Kennedy. Perché?
In questo romanzo ho cercato di captare il reale, e lo spazio vi gioca un ruolo primario. Inquadrare il posto è dunque essenziale in una scrittura che ambisce a descrivere. Non ad analizzare o a spiegare, ma a descrivere e confrontarsi con una geografia, una topografia, con materiale e clima che vogliono generare la finzione letteraria. Essere fedele al contesto è un aspetto essenziale del mio lavoro di scrittrice. La frase, nel suo movimento, nel suo vocabolario, nella sua temporalità, ha per obiettivo condurre il lettore sul posto e di mostrargli gli esseri e le azioni che occupano e animano questa scogliera. Nella prima pagina la seguente frase "è là che accade ed è là che noi siamo", a mio avviso, riassume la politica del romanzo.
Sembrate nelle pagine un pittore impressionista che cattura la luce abbagliante della scogliera che il lettore percepisce...
La percezione della luce ha effettivamente a che vedere con l'impressionismo: provo a rendere questa luce come un flusso, un movimento che dà al testo una sua specifica tessitura, una sua "atmosfera". Questa nozione di "atmosfera" per me è importante: se vi si comunica il carattere radioso del testo, la luce ha un significato, rende chiaro. Così, il bagliore, lo spendore accecante sono sensazioni fisiche ma anche le emozioni interiori dei tuffatori quando saltano. In "Corniche Kennedy" ho cercato di mostrare che le emozioni psicologiche hanno un corrispondente fisiologico, tangibile che si può cogliere dall'esterno.
La Corniche Kennedy rappresenta il limite che separa il grigiore del quotidiano da questa luce?
Sì, la scogliera è un limite, un confine, una soglia e pure una linea di fuga. Segna il confine da un lato fra la città, luogo della politica, delle leggi degli uomini, e il mare dall'altro, luogo organico, di pulsioni elementari, di elementi arcaici (mare, aria, sole).
La Corniche Kennedy appare come una protagonista vivente come i ragazzi e Opera. E' cosi?
Esattamente. E' anche uno dei nodi letterari del testo: trovare una scrittura incarnata dove il luogo s'impone come un personaggio con la sua dimensione temporale, il suo fisico, il suo ordine. Questo permette di dispiegare una storia tesa da un "qui e ora" che corrisponde, secondo me, alle tensioni della gioventù che popola la scogliera.
C'è nel romanzo la distinzione tra la dimensione istintiva che cerca l'infinito e la norma che vieta?
Sì. La dimensione istintiva, animale, si esprime nelle immersioni, in un movimento permanente senza altro scopo che l'immediato godimento, la sfida delle vertigini. Sono giochi pericolosi che mettono in pericolo la vita. La norma sociale porta con sè sempre l'idea di conservazione, è elaborata per conservare la vita. Si tratta di proteggere i giovani da loro stessi.
Il libro è anche una dichiarazione della difficoltà degli adulti di capire i giovani?
Questo libro è innanzitutto una dichiarazione d'amore verso la giovinezza, la sua grazia, la sua vitalità, la sua capacità di vivere il presente. Giovanni Zambito.

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