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mercoledì 15 gennaio 2014

Kaos Festival, in finale i racconti di “Certe strade semideserte”. Fattitaliani parla con gli autori Cacciatore, Ceraulo, Gebbia, Locatelli, Pomar, Savona, Sclafani, Seminara

Andiamo lungo certe strade semideserte, /Ritrovi borbottanti /Di notti insonni in pensioni-a-poco-prezzo…Così recita il celeberrimo incipit di “The Love Song of J. Alfred Prufrock” di Eliot: un verso da cui ha preso spunto un'antologia di racconti intitolata appunto "Certe strade semideserte" in finale al Kaos Festival di Montallegro il 25 e 26 gennaio 2014 (Edizioni Leima, pagg. 160, € 12,00), un viaggio che otto autori siciliani (Giacomo Cacciatore, Fabio Ceraulo, Valentina Gebbia,Alessandro Locatelli, Marco Pomar, Alessandro Savona, Maria GraziaSclafani, Elvira Seminara), con altrettanti stili narrativi diversi e differenti modi di sentire il tempo e la vita, fanno in compagnia dei lettori. Un viaggio durante il quale possono condurli attraverso strade, reali o immaginarie, presenti o passate, che sono care al cuore. Fattitaliani li ha interpellati tutti chiedendo loro: Dove accompagni il lettore attraverso il tuo racconto? che cosa gli vorresti far scoprire?
Giacomo CacciatoreAccompagno il lettore su una strada di Palermo, insignificante per molti, ma fondamentale per la mia infanzia, e lo faccio reinventandola senza tradirne le suggestioni. Si tratta di via Mongitore, una striscia di asfalto vicino al mercato di Ballarò, che potrebbe essere benissimo la "main street" di un vecchio villaggio western come lo avrebbero disegnato gli autori della Bonelli. Vorrei far scoprire al lettore una parte della mia infanzia, dell'atmosfera che mi ha circondato e che i ragazzi del quartiere condividevano con me.
Fabio Ceraulo: Prendendo spunto dal racconto "Profondo rosso", accompagno idealmente il lettore verso una avventura fatta di sogni e fantasia ma nello stesso tempo invitandolo a tenere i piedi per terra perché bisogna pur vivere nella realtà quotidiana che è ben diversa. Vorrei che attraverso le mie pagine, chi legge potesse scoprire proprio questo: che in fondo, sarebbe bello vivere in quel grande sogno di cui si sente sempre parlare e dimenticare le amarezze della realtà. La lettura in fondo ci fa immaginare e sognare, nel bene o nel male. E' dunque un invito a leggere...

Valentina Gebbia: E’ una bambina, Mayra Carolina, che prende per mano il lettore e lo conduce con sè. Dove? Come Guido da Montefeltro e lo stesso Prufrock, lei racconta la propria storia a un interlocutore che forse non esiste, convinta che mai nessuno l’ascolterà davvero. Similmente agli altri due, sta attraversando il proprio inferno, fra le piantagioni di canna da zucchero, nella fabbrica in cui costruisce soldatini giocattolo, indifesa e persa in un mondo che ha lacerato tutti i sogni dell’infanzia. Col suo aiuto, scopriamo però che l’inferno è solo dentro di noi e che nessuno può imporci le brutture della vita e persino l’orrore cui giunge a volte. Mayra Carolina sa che c’è sempre la maniera di trovare qualcosa di bello in tutto ciò che ci circonda, nelle strade, semideserte o affollate, che percorriamo ogni giorno... basta solo imparare a vedere.

Alessandro Locatelli: "Eeh...dove lo accompagno?" (immaginate la faccia del giovane Carlo Verdone, quando, in "Borotalco", durante il colloquio di lavoro, il suo futuro capo gli chiede "E Mozart, dove me lo mette Mozart?"). Beh, scherzi a parte, direi che l'intenzione (poi, non so fino a che punto io ci sia riuscito) è, o meglio era, quella di accompagnare il lettore all'inseguimento di un amore immaginario, per le strade di una città che potrebbe essere una città qualunque (ogni tanto ho davvero voglia di prendermi una vacanza dalle mie solite ambientazioni palermitane), ma che a distanza di tempo mi piace immaginare come una città silenziosa, con edifici tutti bianchi, sostanzialmente indifferente. Ma soprattutto avrei voluto fargli, diciamo conoscere più che scoprire, un essere umano la cui vita è consistita in un prima e un dopo, un uomo cioé al quale, a un certo momento è accaduto qualcosa di talmente improvviso e fondamentale da aver stravolto completamente la sua esistenza. Però, per fortuna, non è detto che la seconda esistenza, quella determinata dall'avvenimento improvviso e, nel caso del mio protagonista, traumatico, non possa essere anch'essa densa di soddisfazioni. Ma con il passato si torna sempre a fare i conti. Poi, certo, avrai notato che il mio racconto ha un finale non ben definito, sì, insomma, quello che si suol definire "finale aperto". A questo proposito ci tengo molto a dirti che...

Marco Pomar: Il mio racconto porta il lettore verso un mondo fantastico, una dimensione oltre la vita, un transito verso destinazioni finali. Alcune strade sono semideserte forse solo perché sono enormi, e, sparuti, sembriamo pochi. Nella strada che porta all'altro mondo prima o dopo ci andiamo tutti, e io ho immaginato un posto dove riflettere e decidere il nostro destino ultraterreno. I criteri, però, di bene e male sono molto discutibili. Soprattutto quando a giudicare le nostre vite dobbiamo essere noi stessi.

Alessandro Savona: Blanchot chiedendosi “Dove va la Letteratura?” si dà una risposta esaustiva: “Va verso se stessa, verso la sua essenza, che è la sua scomparsa” e quando Flaubert, attraverso Bouvard e Pecuchet (che ricopiano l’Encyclopédie credendo nell’originalità del proprio lavoro), teorizza il ritorno alla copia, Barthes non esita a parlare di “traversata dell’inutile”. La nostra non è una superficialità meritata, non è la cultura di un presente che rispetta il passato, le radici immense e forti che da secoli ci sostengono. Siamo figli ingrati che non hanno il tempo di dimenticare perché non abbiamo nulla da dimenticare, per ignoranza, vuoto emotivo e culturale. “Il piano di Benjamin”, tenendosi lontano da sterili morali, affronta in poche pagine le facili trappole del meraviglioso artificiale, con eroi digitali, ologrammi senza vita e riscritture di grandi classici che di questi ultimi non hanno più neppure un vago ricordo. In più Benjamin, che tenta di mettere in salvo dall’oblio i protagonisti dei libri di Flaubert e Hugo, è omosessuale e strenuamente, insieme al compagno, si tira fuori dal suo desiderio di invisibilità per farsi paladino di una difficile causa. Non una fuga, ma un ultimo disperato tentativo di salvezza.

Maria Grazia Sclafani: è un viaggio per Palermo, la Palermo che io amo. Un giro per il centro storico, con le sue bellezze. Un centro storico, però, che può essere sogno o incubo. Dipende da quello che capita e dagli occhi di chi lo guarda. 

Elvira Seminara: Trasporto il lettore nel centro assolato e visionario di Catania sino a contagiarlo, anch'egli vittima d'insolazione paranoica - come spesso noi isolani. Morbo d'isolitudine. O no ?  Giovanni Zambito.

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