Pagine

martedì 25 febbraio 2014

Libri, "Quel grido dei poveri… La rinnovata attenzione per la scelta prioritaria della Chiesa" di Lipari e Leone

Sono passati più di cinquant’anni da quell’11 settembre 1962, quando per la prima volta, in un memorabile radiomessaggio di Giovanni XXIII, fece irruzione l’espressione «la Chiesa dei poveri», mutuata, dal Beato di Sotto il Monte, dal card. di Malines-Bruxelles Leo Joseph Suenens; non passarono molti mesi e il cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, ispirato e sostenuto da don Giuseppe Dossetti, pronunciava nella 35a Congregazione Generale del concilio Vaticano II, il 6 dicembre 1962, un indimenticabile discorso in cui affrontava vigorosamente «la povertà della Chiesa», ancorandola ad una robusta cristologia, e facendola assurgere a chiave della identità ecclesiale, luogo teologico obbligante e paradigma per il suo rinnovamento.

Quarantacinque anni fa (1968), in Colombia, il CELAM (Conferenza Episcopale Latinoamericana) celebrava la Conferenza di Medellin e nel 1971, Gustavo Gutierrez, teologo peruviano, pubblicava “Teologia della Liberazione” e fu così che il povero e i popoli crocefissi iniziarono a guadagnare diritto di cittadinanza nella teologia, affrancandosi da paternalismo e assistenzialismo e da quelle odiose oggettivazioni, che ne fanno dei problemi, per transitare nelle aree della soggettività cooperante, la quale ce ne restituisce volti e nomi.
Anselmo Lipari e Salvino Leone, nel loro «Quel grido dei poveri… La rinnovata attenzione per la “scelta prioritaria” della Chiesa», edito da Abadir, a San Martino delle Scale, nel 2013 (prezzo € 13,00), attraverso sei passaggi tematici incastonati in una introduzione e nelle conclusioni, arricchiti da una galleria di schizzi tratteggianti i volti di alcuni rappresentativi santi della carità, tentano di dar conto, in una chiave moral-teologica, della “opzione preferenziale per i poveri”, ponendola nella dinamica della sacramentalità e della fede vissuta e testimoniata nella vita di santità.
Nelle loro pagine compongono quella nefasta scissura tra teologia e spiritualità, trovando che la via della perfezione evangelica, sta o cade nell’esercizio vivente della diaconia della carità. La scelta dei poveri e della povertà, -lungi da noi il pensare a un banalissimo e fuorviante pauperismo-, non è per la Chiesa una opzione tra le possibili, ma è la sua dimensione autentica ed originaria «dal momento che la povertà sta al cuore stesso dell’evangelo e la Chiesa non potrà mai essere discepola di Cristo maestro se non segue le sue orme, se non segue la sua via Crucis» (p. 13). Il povero, per dirla con il compianto don Tullo Goffi è «il primo dopo l’unico»; è il sacramento di Cristo senza il quale non c’è salvezza: questa la lezione, di mons. Oscar Romero, fin troppo esorcizzata dalle opulente chiese occidentali, tant’è che possono vantare un triste primato in termini di accumulo di ritardo nei confronti del vangelo. Un ritardo che di certo è di gran lunga superiore ai duecento anni sulla storia, perciò non è parsa per nulla casuale quella affermazione di Papa Francesco a tre giorni dalla sua elezione: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri».
In effetti occorreva Papa Francesco perché si rompessero dei tabù nella Chiesa universale e nella Chiesa italiana, tra i tanti i due Autori ne evidenziano uno, che tocca le fibre e la carne della nostra Chiesa, e così ci riportano al viaggio e all’omelia di Papa Francesco a Lampedusa. Omelia, non lo si dimentichi, che Alberto Melloni, da grande storico qual è, non esitò a considerare come uno dei grandi discorsi destinati a segnare l’ora nella storia della Chiesa. In ordine ai fratelli migranti e al fare, prima che al dire, di Papa Francesco i Nostri osservano: «Non tutti potranno fare qualcosa per la tragedia degli immigrati disperati, morti in mare, fuggiti dalle loro terre, privi di speranza, ma certamente tutti possono avere un diverso atteggiamento nei loro confronti. Non dimentichiamo che recenti provvedimenti legislativi nei cui confronti la Chiesa è stata molto tiepida se non in totale silenzio prevedevano i loro respingimenti in mare o il rientro in terre in cui li aspettava il carcere duro o un futuro privo di ogni speranza. Dal j’accuse del papa né i cattolici né la Chiesa nel suo insieme sono immuni» (pp. 99-100, il corsivo è nostro).
Il testo di Lipari e Leone, parla chiaro; parla alla fede e alla ragione; va dritto al cuore e non permette che, in faccia al povero e alla povertà, si torca il viso dall’altra parte.
Alfonso Cacciatore
© Riproduzione riservata

Nessun commento:

Posta un commento