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sabato 28 giugno 2014

Teatro, Fattitaliani intervista Giuseppe Arnone: la "musica" del dialetto siciliano per arrivare a una platea più vasta

Dopo aver vinto il premio “Diritti in scena” con Il coraggio fa ...90, di recente Giuseppe Arnone è tornato in scena al Teatro Kopó con uno spettacolo che ha registrato il tutto esaurito durante la stagione invernale: Sono nato per volare da lui scritto e interpretato. Da grande voglio fare il pilota…sono nato per volare”. Vincenzo Diodato, 10 anni, siciliano che vive a Bologna e ha un sogno. Lo spettacolo racconta, con leggerezza, quei giorni di Natale vissuti in famiglia, abbandonandosi all’odore della arancine e della caponata della nonna, alle favole raccontate dalla mamma. Uno spettacolo pieno di ritmo e passione, dolce e carnale allo stesso tempo. Il dialetto siciliano è rapidamente comprensibile e familiare ed è probabilmente l’unico modo, così diretto, per farci sentire l’odore di quegli anni, attraverso le narici di un bambino che ha un sogno: quello di volare, con lo stesso aereo che gli è stato regalato nel natale del 1979. L'intervista di Fattitaliani a Giuseppe Arnone.
Il fatto che la Sicilia sia un'isola stimola maggiormente desiderio e idea di volate via?
L’isola fa pensare a qualcosa di circoscritto, di delimitato da cui vorresti scappare per sentirti libero. Ma proprio quando sei riuscito a liberarti da questa morsa, ne senti la mancanza. E’ questo il fascino della Sicilia. A 19 anni ho lasciato la mia terra, volando via, ma, una volta in volo, ho guardato giù e dinanzi a cotanta meraviglia ho capito che mai avrei potuto farne a meno. E così è stato.
Tentato di non utilizzare il dialetto per arrivare a più persone possibili?
Al contrario: utilizzo il dialetto proprio per arrivare ad una platea più vasta. Il dialetto è musica. L’attore deve conoscere le note e inventare gli accordi. Il pubblico può anche non distinguere un “si bemolle” da un “fa diesis”, ma certamente può emozionarsi nell’ascoltare quella musica. Il dialetto siciliano peraltro è una lingua ricca e forte, una delle poche, se non l’unica, che ha la capacità di essere compresa da tutti, perché ricca di elementi non verbali. Puoi comprendere il siciliano anche da una sola espressione, dall’intensità di uno sguardo. Dante affermava che “tutto ciò che gli italiani poeticamente compongono si chiama siciliano”.
Chi è Vincenzo in realtà? 
Si tratta di Vincenzo Diodato, un bambino di 9 anni, originario della provincia di Trapani, una delle 81 vittime della strage di Ustica. Nell’Itavia 870 morirono anche la mamma Giovanna Lupo di 31 anni, la sorellina Antonella Diodato e il fratellino Giuseppe, rispettivamente di 7 e 1 anno. Una vera e propria strage familiare. Il padre, Pasquale, detto Lino, è rimasto vivo solo perché, per un contrattempo di lavoro, ha dovuto ritardare la partenza. Non appena ho letto una sua intervista, non ho avuto dubbi. Volevo raccontare la storia di Vincenzo e del suo ultimo Natale trascorso in famiglia, utilizzando la leva dell’ironia e dell’innocenza che può contraddistinguere solo un bambino.
Lo spettatore a teatro avrà la possibilità almeno olfattiva di provare le specialità siciliane?
Mentre scrivevo “Sono nato per volare” pensavo continuamente alla seguente cosa: “Cosa vorrebbe fare per l’ultima volta un bambino di 9 anni, siciliano che vive a Bologna”?.... La risposta è stata immediata. Vorrebbe certamente mangiare per l’ultima volta, la caponata preparata dalla nonna. Nello spettacolo viene così descritta minuziosamente la preparazione della caponata, talmente buona che è preferibile mangiarla il giorno dopo a colazione.

Oggi qual è l'ostacolo maggiore che impedisce ai giovani siciliani di volare?
Il suo essere per natura contraddittorio. Vincitore e vinto al tempo stesso. Come diceva lo scrittore Sebastiano Aglianò “Il siciliano non perde nessuna occasione in cui egli possa mostrare la sua superiorità, ma cede dinanzi agli urti violenti…. Spirito di grandezza ma col complesso di inferiorità”. Giovanni Zambito.

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